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Come ho scritto nella pagina “Cos’è Mente Digitale“, di tanto in tanto qualche amico di vecchia data passa a pubblicare un pezzo su Mente Digitale, per poi dileguarsi nuovamente nei meandri del web. Nel 2011 venne a trovarmi Warco, quindi apro il cassetto dei ricordi e ripubblico il suo interessantissimo post.
Aggiungo a fine articolo una lunga galleria.
Buona lettura!
Definire “disturbante” la produzione artistica di un autore non è quello che generalmente si chiama fare un complimento, a meno che l’artista in questione sia il regista e animatore britannico Phil Mulloy. Mi sono sempre considerato uno dallo stomaco forte ma devo ammettere che la prima volta che vidi la trilogia di Intolerance ho dovuto più volte resistere all’impulso di distogliere lo sguardo dallo schermo durante le scene più estreme, fortunatamente ho resistito al disgusto iniziale (disgusto voluto e volontariamente provocato dall’autore) potendo così apprezzare pienamente i meriti artistici di questo capolavoro di animazione e successivamente di tutta la produzione artistica di Mulloy.
Ogni lavoro di Mulloy è immediatamente riconoscibile per lo stile caratteristico che lo contraddistingue e che lo stesso autore indica essere frutto di “una precisa ricerca non estetica”: il disegno minimalista composto da uomini simili a scheletri, i volti simili a maschere grottesche con i denti sempre esposti e le orbite spesso senza pupille sempre contrapposti a sfondi monocromatici non sono soltanto la firma stilistica dell’autore ma hanno una precisa funzione di supporto al messaggio: ottengono infatti il risultato di far immediatamente disprezzare i protagonisti, di farli identificare già dal primo sguardo come creature abbiette e deprecabili, andando ad anticipare tramite le immagini ciò che la trama racconterà attraverso l’intreccio narrativo.
Sesso e religione sono le principali tematiche che Mulloy affronta; anche sodomia, zoofilia, infanticidio sono elementi ricorrenti che vengono mostrati con una crudezza che ha pochi equivalenti al mondo. Non c’è nulla di velato e non ci sono vaghe allusioni: tutto i più bassi istinti umani vengono brutalmente mostrati senza alcun filtro e senza preoccuparsi di urtare la sensibilità dello spettatore che anzi è l’obbiettivo primo di Mulloy. Non si pensi però che sia volgarità fine a se stessa: il disgusto che durante i suoi corti si prova per le immagini e le storie raccontate non ti si stacca di dosso a proiezione finita ma si trasforma nel disgusto per tutte quelle dinamiche sociali che sono di volta in volta oggetto di critica, rendendo così estremamente efficace la comunicazione del messaggio che Mulloy vuole esprimere.

contente un documentario sugli abitanti del lontano pianeta Zorg, persone molto simili a noi se non per una sostanziale differenza: hanno i genitali al posto della testa e viceversa. Da questa particolarità anatomica derivano poi una serie di abitudini che agli occhi dei terrestri risultano immediatamente oscene causando un’ondata di intolleranza che sfocerà dapprima nel rogo della pellicola ed infine in una vera e propria crociata con lo scopo di sterminare gli abitanti del pianeta Zorg. Da queste premesse si dipana una trama che sarà capace di stupirci per tutta la durata complessiva della trilogia (50 minuti circa) fino ad una conclusione tanto geniale quanto inattesa.
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